Fred Frith
Live In Japan

(Fred Records/ReR)

Per moltissimo tempo oggetto raro della discografia frithiana, e certo tassello mancante di indubbia importanza ai fini di una ricostruzione minimamente completa del lungo cammino del musicista, Live In Japan riceve finalmente un benvenuto trattamento digitale.

Un'attenta frequentazione a distanza ravvicinata dell'oggetto CD ci ha regalato due sorprese. La prima, graditissima, è stata che l'album regge molto bene la distanza, candidandosi a un interesse che, se non proprio universale e casuale, diremmo senz'altro più esteso di quello tipico del completista in cerca di pezzo raro. La seconda, ovviamente meno gradita, è consistita nell'apprendere, ad appena ventotto anni di distanza dai fatti, che quei due LP e quel ricco libretto da noi acquistati per corrispondenza avrebbero dovuto in realtà essere ospitati in un solido cofanetto! Ergo, questa è la prima volta che vediamo la copertina dell'album.

Il Frith dei concerti giapponesi del 1981 (undici in tutto) è già un Frith dalla lunga carriera, con alle spalle esperienze che ancora oggi sono tutt'altro che pagine giovanili. Innanzitutto gli Henry Cow e gli Art Bears. Ma anche Gravity, i Massacre, i duetti con Cutler, Coxill e Kaiser e i tre volumi dei Guitar Solos. Il tour giapponese vede Frith adottare il sistema delle "chitarre sdraiate" (una delle quali è a doppio manico), strumenti ai quali si affiancano un violino, un "microfono da gola da pilota aereo" della Seconda Guerra Mondiale e gli effetti digitali di un'unità della HH collegata a un mixer amplificato della stessa marca (qualcuno la ricorda?). L'improvvisazione è il modus operandi qui prescelto.

Ci è un po' dispiaciuto che la ristampa sia priva di foto quali quelle che apparivano sul retrocopertina dei due LP. Sarà che (da Zappa a Fripp, da Bailey a Frith, da Beck a Van Halen) è sempre stata forte in noi la curiosità di sapere "come si fa", ma siamo dell'opinione che in assenza di una frequentazione della musica dal vivo avere un'idea, anche approssimativa come quella che è possibile avere per mezzo di alcune foto, di quel che realmente viene fatto sullo strumento è elemento indispensabile ai fini di un godimento più completo.

Il Frith solo di queste incisioni è prevedibilmente orchestrale e polifonico, con forti contrasti timbrici e di volume e una "conversazione" a tratti facilmente percepibile tra le varie voci strumentali. Si vedano come esempio il contrapporsi della chitarra sottile sul canale destro - quasi un blues con la slide suonato su un koto - al timbro grosso che appare sull'altro canale a partire da 4' 30" di Fukuoka II. O il moltiplicarsi delle fonti - che qui comprendono anche la cordiera pizzicata di un pianoforte - a partire da 4' in Maebashi I.

Diremmo che il tutto avvenga il più delle volte "in tempo reale", il solo esempio importante facilmente avvertibile di cambiamento di atmosfera dovuto a un montaggio mediante taglio del nastro verificandosi a 16' 29" di Osaka I, quando il lungo incedere strumentale e vocale cede il passo a un "secondo episodio". Forse il brano più immediato e "rock", l'esuberante e percussiva Fukuoka III potrebbe per certi versi essere considerata una lunga variazione sul classico "Bo Diddley Beat", con la conclusiva Tokio I (anche qui, come già in precedenza, la durata reale è di un paio di minuti buoni superiore a quanto indicato) a fare bel contrasto.

Ma diremmo che l'impianto generale del lavoro regge anche per merito di un certo senso della sorpresa soggettivo, di un linguaggio nel suo farsi che tiene alta la soglia del rischio.

Apprendiamo dalle nuove note di copertina che l'edizione originale era di 1.000 copie. E che dei nastri originali non resta alcuna traccia. Thomas Dimuzio ha quindi proceduto a trasferire la musica da una copia in vinile in perfette condizioni, sottoponendo il tutto a un trattamento con Sonic Solutions per rimuovere ticchettii vari e Waves Z-Noise per il rumore. Il risultato ci è parso molto buono.

Solo due piccole perplessità.

Il livello del segnale è enorme, a occhio il triplo di quello dell'edizione in vinile. Fortunatamente la dinamica non è troppo compressa, e il suono non risulta stancante. Però l'insieme acquista qualcosa di "moderno" che alle nostre orecchie suona inautentico. E' ovviamente del tutto possibile che la mancanza di fruscio del nastro nei momenti con poco segnale sia percepita come altamente desiderabile da parte di un pubblico cresciuto in un'epoca di silenzio digitale. Abbiamo dato un bel po' di acuti sull'amplificatore, e l'insieme è risultato meno "inscatolato", ma la mancanza di "aria" rimane.

La conseguenza più importante è che ascoltando questa versione non percepivamo più il fatto che la musica fosse eseguita dal vivo. Ovviamente abbiamo subito fatto il confronto con la nostra copia in vinile, sulla quale alle nostre orecchie la musica suona a tutt'oggi più "viva". Ma potrebbe trattarsi di una scelta coscientemente voluta, come sembrerebbe indicare il fatto che alla fine dell'album non appare più quell'applauso che per un istante ci faceva sentire partecipi di un momento.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2010

CloudsandClocks.net | Nov. 8, 2010