Sean Bergin
Nansika

(Data)

Parlavamo con un amico, non più tardi di qualche giorno fa, quando a un certo punto la discussione è caduta sul jazz; non ricordiamo più a quale proposito, ma ci è capitato di tirare in ballo la Brotherhood Of Breath. E qui il nostro amico fa "E chi sono?". Se raccontiamo questo piccolo episodio è solo perché il nostro amico è un quaranta-e-qualcosa, apprezzato chitarrista dal buon curriculum professionale, discreto pianista e appassionato di jazz (anche se la sua passione per questa musica non va tanto indietro quanto quella da lui nutrita per i Beatles e i Byrds). E dato che la sua frequentazione di negozi in cui si vende jazz è, per usare un eufemismo, molto stretta, ne consegue che...

Se è vero da sempre che moltissimi sono i musicisti inglesi poco noti in patria, questo è ancora più vero per tutto un gruppo di jazzisti sudafricani che in Inghilterra cercarono rifugio negli anni sessanta: il pianista Chris McGregor, il sassofonista Dudu Pukwana, il batterista Louis Moholo, il contrabbassista Johnny Dyani, il trombettista Mongezi Feza (un nome conosciuto almeno dagli estimatori del capolavoro di Robert Wyatt intitolato Rock Bottom). Prima come Blue Notes, poi in altre formazioni - la più celebre (mai espressione fu meno appropriata) delle quali è senz'altro quella dei Brotherhood Of Breath - portarono una ventata d'aria fresca con il loro jazz solo apparentemente semplice. E fu una vita in fondo tragica, la loro, e senz'altro troppo breve: per cattiva salute e affini. E ci pare che solo il bel Live In Willisau inciso (male) nel '74 e un paio di (buoni) doppi che la statunitense Cuneiform ha dato alle stampe negli ultimi anni possano oggi testimoniare di quelle gesta.

Crediamo di aver incontrato per la prima volta il nome di Sean Bergin una ventina d'anni fa, su un CD della Instant Composers Pool Orchestra dedicato a riletture di Herbie Nichols e Thelonious Monk. Bergin ha poi fatto parte di alcune formazioni nate allo scopo di rendere omaggio alla musica di matrice sudafricana di cui s'è detto (ma che fine hanno fatto i CD della Dedication Orchestra?). Bergin ha inciso questo Nansika dal vivo in Svizzera (registrazione ottima, tra l'altro, e decisamente appropriata al materiale: calda e nitida). Il leader al sax tenore, al piano una vecchia conoscenza: Curtis Clark. Confessiamo di non aver mai sentito nominare il chitarrista Franky Douglas (il cui apporto è pertinente e gustoso ma non decisivo), il batterista Victor De Boo e il contrabbassista Jacko Schoonderwoerd (un'ottima sezione ritmica, propulsiva o delicata secondo la bisogna).

L'album nasce con il proposito di rendere omaggio ad alcuni compositori sudafricani. Accanto a brani scritti da Pukwana, Feza e Dyani possiamo trovarne uno di Winston Ingozi, un tradizionale e due composizioni di Abdullah Ibrahim, pianista (molto) noto anche come Dollar Brand. La cosa che salta immediatamente all'orecchio è una certa "aria di famiglia" facilmente avvertibile in tutto il disco. Bergin adotta un suono melodico e "grosso" come richiesto, ben sostenuto dalla ritmica. I primi tre brani sembrano procedere in progressione, dal mosso Woza Mtwana di Ibrahim fino al movimentato Ezilalini di Pukwana. Segue la sensibile ballad scritta da Feza, You Ain't Gonna Know Me, e il brano di Ingozi, certamente quello qui più simile a uno standard jazzistico. La concentrata The Wedding di Ibrahim è per chi scrive il vertice dell'album, con bellissimo assolo di contrabbasso; ma certo non sfigurano le successive Ubagele, di Pukwana, e la conclusiva Wish You Sunshine di Dyani.

Un'ora che va giù di un fiato, un disco consigliatissimo. Bastano i proverbiali quattro passi in più.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2006

CloudsandClocks.net | Jan. 25, 2006