Jeff Beck
Performing This Week... Live At Ronnie Scott's
(CD/DVD-V)
(Eagle Records/Eagle Vision)

Dobbiamo ammettere di essere rimasti non poco sorpresi quando, all'incirca due anni fa, ci è capitato di leggere da qualche parte che Jeff Beck si preparava a effettuare tutta una serie di concerti (per l'esattezza: cinque) nel corso di un'unica settimana nel celeberrimo locale londinese denominato Ronnie Scott's. Il perché è presto detto: se è indubbiamente vero che Beck (Jeff) è tra i pochissimi chitarristi rock in grado di coniugare brillantemente "fuoco & finezza", è anche vero che il Ronnie Scott's è un piccolo locale (capienza stimata: 250 persone) famoso soprattutto per il fatto di accogliere da svariati decenni concerti di jazz del tipo acustico, e non certo muri di Marshall con il volume a 11. Ma Beck (Jeff) è sempre stato uomo in grado di riservare molte sorprese, e quindi... (Ne anticipiamo una: nel corso dell'intervista inclusa nel DVD-V si giunge infine alla conclusione condivisa che la settimana di concerti è stata un enorme successo, sia in termini di pubblico che di risultati artistici; ne consegue logicamente la domanda assolutamente retorica: "Se te lo chiedessero, lo rifaresti?"; risposta: "No, per niente; non credo proprio".)

Jeff Beck cominciò a sorprendere (chitarristicamente) il mondo del rock durante la sua permanenza negli Yardbirds (qui l'album di riferimento è quello del 1966 intitolato semplicemente Yardbirds ma universalmente conosciuto anche e forse soprattutto come Roger The Engineer). Solista brillante dal fraseggio angolare e dall'interesse spiccato per il feedback e la distorsione, Beck (Jeff) accumulò in pochi mesi un capitale di stima che nel 1992 lo portò a essere ammesso nella Rock 'n' Roll Hall Of Fame quale membro degli Yardbirds insieme ai due illustri sconosciuti che in quel complesso avevano suonato la "chitarra solista": Eric Clapton e Jimmy Page.

Il confronto con i due colleghi mostra immediatamente il divario in termini di notorietà e di reddito. Ovviamente Beck (Jeff) non è uno che se la passa male: quattro premi Grammy©; un album (Blow By Blow, 1975) nella Top Ten statunitense; una seconda ammissione, giusto dieci giorni fa, nella Rock 'n' Roll Hall Of Fame, stavolta nella sua veste di solista; tour che diremmo discretamente remunerativi; e una misurata attività di "ospite speciale" che deve averlo aiutato a far quadrare i conti più di una volta.

Rimane però una differenza di fondo: posto che nessuno possiede preveggenza in misura tale da indurlo a pensare "non voglio fare la fine di Hendrix" nel momento in cui Hendrix è vivo, ricco (almeno in apparenza), invidiato dai colleghi e idolo delle folle, è vero che qualcosa ha spinto Beck (Jeff) alla prudenza, a staccare la spina ogniqualvolta l'adorazione del mondo sembrava essere a portata di mano; auto-sabotaggio, si è detto; però oggi basta vederlo suonare nel modo in cui suona (alla verde età di... 64 anni o giù di lì) per capire che la sua (per dirla in breve: carburatori invece di aghi e pillole) è stata davvero la scelta giusta.

Jeff Beck non è (anche) un (vero) cantante, né ha mai fatto coppia stabile con un cantante in grado di condurlo al successo negli stadi. Non è neanche un autore prolifico. E' invece quello che abitualmente chiamiamo "un interprete", e un musicista in possesso di una delle "voci" strumentali maggiormente riconoscibili di sempre. Un chitarrista che a partire dagli anni Sessanta ha accompagnato il rock in tutte le sue avventure, soprattutto espressive: feedback, distorsione, armonici, leva del vibrato, legati, echi e riverberi, slide, wha-wha, articolazione della destra, uso innovativo a due mani della tastiera, "tutto quanto fa rock" è stato usato da Beck (Jeff) e messo al servizio di un procedere melodico che ha abbracciato blues, rock-blues, funky, jazz-rock, fusion, techno, arie "orientali", quarti di tono e glissati mentre risultava personale in ogni contesto. E Beck (Jeff) è uno dei chitarristi che più hanno dato valore e respiro alla singola nota.

Performing This Week... Live At Ronnie Scott's può tranquillamente essere considerato quale godibilissima summa dell'attività di Jeff Beck. Se un confronto può essere fatto, è con il "bootleg ufficiale" inciso nel 2003 intitolato Live At B.B. King Blues Club. Da parte nostra diremmo l'album londinese largamente preferibile alla sua controparte newyorkese: è vero che l'album del 2003 - che presenta un repertorio in larga misura sovrapponibile - vede la presenza di due fuoriclasse dalla voce strumentale personale e riconoscibile quali Tony Hymas e Terry Bozzio; ma è anche vero che qualora paragonato all'album più recente esso ha un che di "iperattivo" che dice di un approccio senz'altro idoneo al grande palco ma che risulta fatalmente sovraccarico qualora ascoltato sullo stereo di casa; l'ascolto di Performing This Week... Live At Ronnie Scott's rivela facilmente che il nuovo gruppo ha coscientemente cercato - riuscendoci - di adattare il proprio suono a un piccolo ambiente (cosa non facile se consideriamo la potenza e la grinta necessarie a rendere "rock" il rock).

Il quartetto vede Jeff Beck affiancato da Vinnie Colaiuta alla batteria, Jason Rebello alle tastiere e Tal Wilkenfeld al basso elettrico. Da Frank Zappa in poi, Colaiuta non ha certo bisogno di presentazioni; qui lo diremmo il vero contraltare di Beck (Jeff): versatile, potente, preciso, fantasioso, gran lavoro di piatti, bella cassa, capacità di interpretare e fare sue parti originariamente suonate da mani molto diverse tra loro. Rebello se la cava bene: la sua è una funzione prevalentemente d'appoggio, ma viene fuori bene nella sua capacità di emulare i tappeti orchestrali e il piano di Tony Hymas, il piano elettrico di Max Middleton e il Minimoog solista di Jan Hammer (le capacità tecniche ovviamente non si discutono). La vera sorpresa è la giovanissima bassista Tal Wilkenfeld, il cui lavoro è tutto da gustare. Settanta minuti per sedici brani ci dicono dell'assenza di lungaggini.

Il repertorio non potrebbe essere più vario: apre la gloriosa Beck's Bolero (con la dodici corde suonata "fuori campo" da un roadie), con distorsione e slide; il tema di Eternity Breath di John McLaughlin e la Stratus firmata Billy Cobham (con un pensiero rivolto allo scomparso Tommy Bolin) ci ricollegano alla fusion; Cause We've Ended As Lovers ci riporta a Stevie Wonder, a Blow By Blow e a Roy Buchanan; figurano bene le composizioni di Hymas: la reggae Behind The Veil, la "orientale" Blast From The East, la melodica Angel (Footsteps), il tema fusion di Space Boogie; non potrebbero mancare la You Never Know di Jan Hammer, le Led Boots e Scatterbrain firmate Max Middleton e l'ormai classico medley costituito dalla mingusiana Goodbye Pork Pie Hat (qui solo il tema) e da Brush With the Blues; Big Block riporta al rock più essenziale e grintoso; A Day In The Life è la bellissima riproposizione di un brano celeberrimo riletto in modo emozionante; gli armonici modulati con la leva del vibrato di Where Were You costituiscono l'appropriata conclusione.

Dire di Jeff Beck è facile: suona l'insuonabile.

La versione CD di Performing This Week... Live At Ronnie Scott's è apparsa lo scorso novembre, a circa un anno di distanza dalla serie di concerti da cui l'album è tratto. L'edizione DVD-V è invece di recentissima pubblicazione (ne esiste anche una versione Blu-Ray, di cui nulla sappiamo). Siamo stati a lungo indecisi se prendere o no anche la versione video: con rarissime eccezioni, non riusciamo a vedere con interesse un concerto dal vivo più di un paio di volte; avevamo inoltre l'impressione che i materiali che appaiono solo nella versione video sarebbero stati per noi di scarso interesse. Abbiamo deciso utilizzando la classica moneta.

Per quanto riguarda i "materiali esclusivi" avevamo ragione: alla voce su People Get Ready, Joss Stone ci è parsa niente più che un classico caso di "plastic soul"; Imogen Heap è senz'altro meglio: se Rollin' And Tumblin' è una cosa un po' così, Blanket figura bene, pur provando che la Heap non è Annie Lennox; da prendere per quello che sono Little Brown Bird e You Need Love, eseguiti con Eric Clapton molto dignitosamente a voce e chitarra.

Quello che non avevamo considerato era la possibilità che il materiale in quartetto, buono sul CD per chi è già convinto che questa sia musica degna di essere ascoltata, venisse a tal punto trasfigurato dall'interazione evidenziata da ottime e pertinenti riprese video. Il montaggio è davvero rivelatore, con abbondanza di primi piani delle mani a svelare la parte "meccanica" di quello che ascoltiamo; ma è soprattutto l'interazione visiva tra i musicisti, con quei cenni sottili, l'aria genuinamente coinvolta, e classici exploit del tipo "che te ne pare di questo trillo?" a rendere la visione qualcosa che consiglieremmo senza riserve anche (e forse soprattutto) a coloro i quali per i motivi più vari non hanno confidenza con la pratica del suonare (quello vero).

Chi scrive ha visto Jeff Beck su un palco solo una volta, una decina di anni fa: una bella formazione techno-funky, con ritmica pimpante e la chitarra MIDI di Jennifer Batten a creare tappeti orchestrali. Il concerto era stato buono, anche se più volte ci eravamo sorpresi a desiderare che il posto dove ci trovavamo fosse più piccolo (a occhio c'erano tremila persone) e al chiuso. Jeff Beck aveva suonato bene, ma c'era stato un momento a parte: messa la slide sulla mano destra, il musicista aveva preso a indagare gli intervalli tra i pick-up della Stratocaster, e lì ci si erano davvero rizzati i capelli in testa; volto inespressivo, concentratissimo, finché qualcosa - un urlo dal pubblico, lo spezzarsi di un pensiero - non era intervenuto.

Che Jeff Beck sia sempre stato personalità complessa è cosa che diremmo nota. Dicendone per sommi capi, accenneremo qui al rapporto tra il processo e il risultato: ritornando allo scambio di battute che citavamo all'inizio, ci è parso evidente che quello che per l'artista veniva fuori con prepotenza non fosse la qualità del risultato ma il prezzo per raggiungerlo e l'elevata dose di rischio. E qui basta guardare il momento in cui Jeff Beck dice che i musicisti del suo gruppo sono davvero ottimi, e quindi "se faccio cilecca, loro sono in grado di coprirmi" per capire molto in poco tempo.

La concentrazione sullo strumento, il vedere l'intenzione dietro il risultato mentre si realizza "in the moment", sono qualcosa che non è mai comune vedere, e che diremmo cosa sempre più rara. I momenti in cui la slide va sulla destra in Angel (Footsteps) sono da antologia, ma da parte nostra indicheremmo quali vertici il rock "selvaggio" di Big Block e le ripresa di A Day In The Life, e non solo per gli elevatissimi risultati estetici.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2009

CloudsandClocks.net | April 14, 2009